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Primo Maggio. La loro coperta: nessuna libertà e la sicurezza di una cella

Posted: Aprile 30th, 2015 | Author: | Filed under: General | Commenti disabilitati su Primo Maggio. La loro coperta: nessuna libertà e la sicurezza di una cella
Una citazione. Nel film “Codice d’onore” il colonnello Jessep dei marines, interpretato da Jack Nicholson, viene portato alla sbarra, in tribunale, imputato per aver ordinato la esecuzione di un suo soldato.
Di fronte alle accuse che gli vengono mosse, risponde in questo modo:
“… viviamo in un mondo pieno di muri e quei muri devono essere sorvegliati da uomini col fucile… chi lo fa questo lavoro?
Io non ho né il tempo né la voglia di venire qui a spiegare me stesso a un uomo che passa la sua vita a dormire sotto la coperta di quella libertà che io gli fornisco. E poi contesta il modo in cui gliela fornisco!”.
Questo discorso ci offre gli spunti per qualche riflessione.
I muri da sorvegliare, e la coperta che ci è stata fornita, sotto alla quale dormire.
Che i muri da sorvegliare siano sempre di più dopo il crollo del muro più famoso, quello di Berlino, è evidente. Dalla Palestina al Messico al Mediterraneo, i confini che un sogno neanche tanto lontano voleva pensare liberi e aperti si sono chiusi a delimitare fortezze. C’è un dentro fatto di presunti diritti, e un fuori fatto di esasperazione e di milioni di condannati ad una sopravvivenza alla mercè di guerre, faide, speculazioni decise in pochi istanti da grandi gruppi finanziari internazionali. Decise a volte da logaritmi, scelte che per pochi significano enormi quantità di denaro, per tanti fame e miseria.
Una economia fatta di speculazione, sfruttamento di uomini e animali, devastazione dell’ambiente, richiede l’erigere continuo di paratie stagne capaci di dividere e contenere i conflitti per poterli gestire e controllare. Conflitti che a volte assumono la caratteristica di vera e propria guerra, altre volte a più bassa intensità assumono quella di contenimento del malessere sociale attraverso la repressione.
In ogni caso, parliamo di muri; muri da controllare, muri che per tornare alla citazione del film devono essere sorvegliati da uomini col fucile. Il sogno del mondo pacificato vagheggiato al termine della guerra fredda è drammaticamente fallito. Il mondo non solo non è pacificato, e dal medio oriente al mediterraneo passando per grandi aree dell’asia assistiamo ad immani carneficine che non risparmiano uomini e donne innocenti, massacrate in nome dello stato islamico o sotto la repressione del dittatore di turno.
E i muri non sono solo questi. La militarizzazione diffusa nella nostra società difende i muri dello sfruttamento, della intolleranza che alimenta i conflitti tra poveri, del razzismo e della paura in cui ci vogliono per giustificare quella coperta che da anni ormai, ammesso che per qualcuno ci sia mai stata, non c’è più.
Una coperta che altro non era che il sogno della classe media nato nel dopoguerra: un sogno fatto di piccole sicurezze, una coperta sotto alla quale avremmo dovuto dormire tranquilli, protetti e vigilati dagli “uomini col fucile”. Ma se anche in passato questo privilegio mai fosse stato goduto da qualcuno, di certo oggi non ne rimane che il ricordo o la nostalgia. La classe media del mondo occidentale sotto i colpi della crisi è scomparsa, tagliata da una forbice sempre più ampia a sancire la distanza fra pochi detentori del reddito e grandi masse a cui non rimane altro se non l’incubo della precarietà, della assenza di futuro per sé e per i propri figli, del continuo attacco alla propria dignità ad opera di amministratori al servizio dei grandi poteri finanziari. Un incubo che si svolge in un bagno di paure, alimentate ad arte dai mezzi di comunicazione, dove sempre nuovi nemici di ogni genere minacciano quei muri sempre più fragili, giustificando un apparato repressivo di controllo sempre più invasivo.
Ma di quale coperta stanno parlando, questi signori della guerra, della repressione? Chi l’ha mai vista, la coperta che pretendono di stendere e sotto a cui dovremmo dormire? Chi vede oggi quella libertà che dicono di fornirci? La libertà di scegliere se azzuffarsi sgomitando in una società senza solidarietà per sopravvivere o di sprofondare nel baratro dei reietti? La loro coperta non esiste, non c’è.
Poco fa non a caso abbiamo parlato di amministratori al servizio dei grandi poteri finanziari. Non a caso, amministratori: non politici. Di quale politica parlano questi signori? Qual è il futuro che hanno in mente per le prossime generazioni? Il futuro scritto dalla banca centrale europea, dal fondo monetario internazionale, dalle banche. E per eseguire i compiti prescritti da queste consorterie si definiscono “politici”. Ma siatene certi, non uno, non uno solo sarebbe in grado di dirvi quale mondo, quale società ha in mente per le prossime generazioni.
Mentre hanno ben in mente, ben chiaro, qual è il futuro del lavoro.
Disoccupazione giovanile altissima, la cassa integrazione aumentata vertiginosamente, tanti lavoratori e lavoratrici che fuggono all’estero per sopravvivere.
Allora propongono Grandi Opere, come la Tav, che richiedono investimenti di miliardi. Questi progetti sono presentati come soluzione per risolvere il problema della disoccupazione, in realtà sono solo l’ennesima occasione per fare affari sulla pelle dei lavoratori. Queste opere, invece di rispondere ai nostri bisogni, sono destinate a creare solo gigantesche speculazioni, favorire gruppi economici e di potere, creare consensi elettorali attorno ai partiti che promuovono politiche contrarie agli interessi dei lavoratori (cit. Tiziano Antonelli).
Quantomeno singolari, quando non spassose, le periodiche ondate di entusiasmo che si sollevano intorno a personaggi del mondo istituzionale o sindacale, fondatori e ri-fondatori di partiti e movimenti che vaneggiano un futuro sostanzialmente di ridotto sfruttamento e minor ladrocinio da parte della classe al potere. E’ commovente la partecipazione che questi salvatori buoni per una stagione riescono a sollevare per qualche mese in tanti e tante. Sotto i fondali teatrali che cambiano, in realtà, tutto quel che si muove è il tentativo di mercanteggiare con la classe padronale, che in passato aveva qualche interesse a venire a patti con i lavoratori, una sicurezza:
quella di una cella ben conosciuta. Per questa sicurezza, vogliono dar ad intendere che occorre difendere conseguentemente le sbarre che finora li hanno tenuti prigionieri.
Ma la classe padronale, che ha diviso e smembrato produzioni, dislocato per il mondo le sedi, depauperato e disperso diritti che erano stati conquistati in anni e anni di lotte, di venire a patti non ne ha più nessuna necessità.
Per questo ci sembrano risibili queste periodiche chiamate alle armi da parte del salvatore di turno, che abbia la faccia pulita o meno. La fuga dalla fiducia nelle istituzioni è iniziata da un pezzo, i numeri dell’astensionismo stanno lì a testimoniarlo. Il lavoro di questi pompieri, da Grillo a Landini, in ultimo non è volto ad altro se non a cercare di mantenere sulla barca dello Stato, agitando le bandiere della difesa della Costituzione e della lotta alla corruzione, chi avrebbe tutte le ragioni per rivoltarsi contro di esso.
Se non è possibile costruire un futuro senza prima sognarlo, crediamo fermamente e pensiamo che oggi più che mai si debba tornare a parlare di trasformazione sociale. La difesa del lavoro e dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici non può limitarsi alla contrattazione e alla lotta economica, che pure sono aspetti necessari e importanti. Senza la prospettiva di una trasformazione sociale, che per noi anarchici significa un mondo di uomini e donne liberi ed eguali nella solidarietà e nella giustizia sociale, nessuna rivendicazione può avere respiro. A maggior ragione oggi, quando quella presunta coperta di libertà e sicurezza di cui tanto ci hanno parlato ha ormai mostrato che cosa realmente è: nessuna libertà e la sicurezza di una cella.
Noi, di questa sicurezza non sappiamo cosa farcene.
 
Gruppo Libertad – FAI Federazione Anarchica Italiana, Rimini

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