Posted: Novembre 24th, 2016 | Author:Circolo Culturale Libertario Rimini | Filed under:General | Commenti disabilitati su Torino. Ti amo da – farti – morire. Punto info sulla violenza di genere
Ti amo da – farti – morire. Punto info sulla violenza di genere
Sabato 26 novembre
Per la giornata internazionale contro la violenza contro le donne
Punto info sulla violenza di genere
ore 17 in via Po 16
Sentieri di libertà
Libertà, uguaglianza, solidarietà. I tre principi che costituiscono la modernità, rompendo con la gerarchia che modellava l’ordine formale del mondo hanno il loro lato oscuro, un’ombra lunga fatta di esclusione, discriminazione, violenza.
Tanta parte dell’umanità resta(va) fuori dal loro ombrello protettivo: poveri, donne, omosessuali, bambini. L’universalità di questi principi, formalmente neutra, era modellata sul maschio adulto, benestante, eterosessuale. Il resto era margine. Chi non era pienamente umano non poteva certo aspirare alle libertà degli uomini.
Una libertà soggetta a norma, regolata, imbrigliata, incasellata. La cultura dominante ne determina le possibilità, le leggi dello Stato ne fissano limiti e condizioni.
Le nonne delle ragazze di oggi passavano dalla potestà paterna a quella maritale: le regole del matrimonio le mantenevano minorenni a vita.
Le donne stuprate, sino al 1981, potevano sottrarsi alla vergogna ed essere riammesse nel consesso sociale, se accettavano di sposare il proprio stupratore. Una violenza più feroce di quella già subita. Se una donna era uccisa per motivi di “onore”, questa era una potente attenuante. Uccidere per punire le donne infedeli era considerato giusto.
Sono passati 34 anni da quando quelle norme vennero cancellate dal codice penale. Poco prima era stato legalizzato il divorzio e depenalizzato l’aborto.
Sulla strada della libertà femminile e – con essa – quella di tutt* sono stati fatti tanti passi. Purtroppo non tutti in avanti.
Le lotte delle donne hanno cancellato tante servitù. Ma ne paghiamo, ogni giorno, il prezzo.
La violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione diffusa a riaffermare l’ordine patriarcale. La casa, il “privato”, è il luogo dove si consumano la maggior parte delle violenze e delle uccisioni. Le donne libere vengono picchiate, stuprate e ammazzate per affermare il potere maschile, per riprendere con la forza il controllo sui loro corpi e sulle loro menti.
La narrazione prevalente sui media è falsa, perché nasconde la realtà cruda della violenza maschile sulle donne. Non solo. Trasforma le donne in vittime da tutelare, ottenendo l’effetto paradossale ma non tanto, di rinforzare l’opinione che le donne siano intrinsecamente deboli.
La violenza esplicita è solo la punta dell’iceberg. Il patriarcato, sconfitto ma non in rotta, riemerge in maniere più subdole.
Il prezzo dell’emancipazione femminile è stato anche l’adeguamento all’universale, che resta saldamente maschile ed eterosessuale. Lo scarto, la differenza femminile, in tutta l’ambiguità di un percorso identitario segnato da una schiavitù anche volontaria, finisce frantumata, dispersa, illeggibile, se non nel ri-adeguamento ad un ruolo di cura, sostitutivo dei servizi negati e cancellati negli anni.
Lo spazio della sperimentazione, della messa in gioco dei percorsi identitari, tanto radicati nella cultura, da parere quasi «naturali», spesso si estingue, polverizzato dalle tante cazzutissime donne in divisa, dalle manager in carriera, dalle femministe che inventano le gerarchie femminili per favorire operazioni di lobbing.
Lo scarto femminile non è iscritto nella natura ma nemmeno nella cultura, è solo una possibilità, la possibilità che ha sempre chi si libera: cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.
Contro la normalizzazione delle nostre identità erranti il femminismo libertario si svincola dalla mera rivendicazione paritaria, per mettere in gioco una scommessa dalla posta molto alta.
Miliardi di percorsi individuali, che attraversano i generi, costituiscono l’unico universale che ci contenga tutt*, quello delle differenze.
Vogliamo vivere, solcare le nostre strade, con la forza di chi sta intrecciando una rete robusta, capace di combattere la violenza di chi vuole affermare la dominazione patriarcale.
Non abbiamo bisogno di tutele né di tutori, con o senza divisa. La nostra forza è nella solidarietà e nel mutuo appoggio.
Il percorso di autonomia individuale lo costruiamo nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo.
Siamo qui per spezzare l’ordine. Morale, sociale, economico.
Siamo qui per frantumare la gerarchia, per esserci, ciascun* a proprio modo.
Anarchiche contro la violenza di genere
Ci trovate ogni giovedì alle 19 presso la FAT in corso Palermo 46
Alessio Lega è uno dei cantautori più conosciuti della sua generazione, e dei più stimati dalla nicchia degli appassionati del genere. Ha messo in scena centinaia di spettacoli, di performance, di conferenze/concerti sulla canzone d’autore mondiale e sulla musica popolare e d’impegno. Dopo un’assidua frequentazione col Nuovo Canzoniere Italiano, è considerato oggi il rappresentante più coerente del canto sociale, in bilico fra canzone d’autore e riproposizione dei repertori storici. È citato nei dizionari (Garzanti, Giunti, Rizzoli), si è guadagnato i riconoscimenti più ambiti (Targa Tenco, Premio Lunezia, ecc…), è inserito in antologie, libri, dvd. Eppure Alessio non rinuncia al nobile donchisciottismo di cantare dove gli piace, piuttosto che dove “si deve”, andando in giro a tentare di cambiare se stesso e il mondo con le canzoni di cui fa l’autore, l’interprete e lo storico.
Posted: Ottobre 23rd, 2016 | Author:Circolo Culturale Libertario Rimini | Filed under:General | Commenti disabilitati su Rimini, Biblioteca Libertad. “Per Amore. La rivoluzione del Rojava vista dalle donne”
“Per Amore. La rivoluzione del Rojava vista dalle donne”
mercoledì 26 ottobre 2016 ore 21.30
alla Biblioteca A. Libertad, presso Casa della Pace, in via Tonini 5, Rimini
incontro con l’autrice Silvia Todeschini
Silvia Todeschini ha trascorso più di un anno e mezzo in Rojava, Kurdistan siriano, da anni centro di una battaglia in cui la popolazione locale ha arrestato l’avanzata dell’Isis: un’esperienza di resistenza popolare.
in questo libro l’autrice raccoglie storie di donne abitanti nella zona compresa tra Shingal e i cantoni di Cizire e di Kobane; durante l’incontro proiezione delle fotografie scattate da Silvia sempre nella stessa zona.
“Ho sempre pensato che fosse necessario anche confrontarsi e trarre ispirazione anche da esperienze molto lontane da noi, per poter trovare soluzioni alle contraddizioni che viviamo quotidianamente. Secondo me è necessario comprendere e combinare tra loro diversi punti di vista per ottenere una comprensione generale e profonda, che a sua volta porti ad una pratica finalizzata ad un miglioramento reale della situazione in cui viviamo. È proprio per questo che penso che le vite e le esperienze di donne non molto lontane possano contribuire al dibattito riguardo come costruire il nostro futuro, ed è appunto per questo che le ho raccontate in un libro.
Viaggiando, quindi, si impara. E credo di avere imparato alcune cose (poche, ma pur sempre qualcosa), trascorrendo più di un anno e mezzo in Rojava.”
MICHELE SCHIRRU
nasce a Padria (Sassari) il 19 ottobre 1899.
In data 28 maggio 1931, viene condannato per la semplice intenzione di attentare alla vita di Mussolini. La sentenza riporta:«Chi attenta alla vita del Duce attenta alla grandezza dell’Italia, attenta all’umanità, perché il Duce appartiene all’umanità».
Il 29 maggio viene fucilato.
Muore gridando “VIVA L’ANARCHIA”.
Posted: Ottobre 20th, 2016 | Author:Circolo Culturale Libertario Rimini | Filed under:General | Commenti disabilitati su Il 21 ottobre 1928 nasce a Milano Giuseppe Pinelli
Nel 44/’45 partecipa alla Resistenza antifascista come staffetta delle Brigate Bruzzi e Malatesta. Dopo la fine della guerra “Pino”, partecipa con entusiasmo alla crescita del movimento Anarchico a Milano.
Nel 1963 si unisce ai giovani Anarchici della “gioventù libertaria”, due anni dopo è tra i fondatori del circolo “Sacco e Vanzetti”.
Nel 1968 uno sfratto costringe i militanti alla chiusura del circolo ma, il 1° maggio Pinelli è tra gli inauguratori di un nuovo circolo, in piazzale Lugano 31, a pochi metri dal “Ponte della Ghisolfa”
Dopo gli assurdi e premeditati arresti degli Anarchici per le bombe esplose il 25 aprile 1969 a Milano, alla stazione centrale e alla fiera campionaria (saranno assolti nel giugno 1971), Pinelli si impegna alacremente per raccogliere pacchi di cibo, vestiario e libri da inviare ai compagni in carcere. Nell’ambito della appena costituita Croce Nera Anarchica, si impegna nella costruzione di una rete di solidarietà e di controinformazione, che possa servire anche in altri casi simili.
I servi fascisti presenti nella stanza dove è stato assassinato Pino: il commissario calabresi, i poliziotti vito panessa, giuseppe caracuta, carlo mainardi, piero mucilli ed il tenente dei carabinieri savino lo grano. Questa è una testimonianza tratta dall’ Espresso del 22 febbraio del 1970 a poco più di un mese dai fatti di Piazza Fontana dove Giuseppe Pinelli,per noi anarchici il compagno Pino ha trovato la morte per futili motivi,un documento molto importante che testimonia che spesso nelle mani dello stato si può morire soprattutto quando si è scomodi come nel caso di Pino perché si è capito che le cose stavano in tutt’altro modo,allora è necessario far tacere,bisogna per forza trovare il capro espiatorio,la vittima ideale. In questo documento Camilla Cederna raccoglie la testimonianza di un poliziotto che definisce pino come un bravo ragazzo prendendo le distanze dall’allora questore di Milano Marcello Guida.
“Capace di ricorrere ad atti di violenza,secondo le mie informazioni implicato nei fatti di questi giorni,amico di molte persone sospette,quindi fortemente indiziato”. Così con voce pacata,con viso solenne e professionale il questore di Milano Marcello Guida,mi aveva parlato di Giuseppe Pinelli nella notte dal 15 al 16 dicembre,a poco più di un’ora dalla sua morte,quando nel cortile non s’era ancora asciugato il sangue sull’aiuola di sinistra e ancora si poteva scorgere l’impronta del corpo tra l’abete,la palma e il grosso cespuglio stecchito.
Intanto il commissario Luigi Calabresi,grave,annuiva; lui non era seduto come il questore ma andava e veniva dalla stanza piena di fumo,un grande bruno molleggiato,con fuori dalla giacca l’alto collo del golf di cammello. Lo stesso giovanottone elegante (addestramento speciale in America,e lunga abitudine alle palestre),che l’11 gennaio a <<L’Unità>> ha fatto una sorprendente rivelazione: “Contro Pinelli non avevamo niente,era un bravo ragazzo,lo avremmo rilasciato il giorno dopo”.
Ecco dunque un personaggio che a un mese di distanza dai fatti si distacca dal questore,lasciandogli tutta la responsabilità delle frasi pesanti dette in varie conferenze-stampa circa la colpevolezza del Pinelli e il suo suicidio inteso come autopunizione; ed è uno dei personaggi più interessanti e contraddittori dell’attuale squadra politica milanese.
E’ lui che insieme al suo uomo di fiducia, il brigadiere Vito Panessa,e al commissario Beniamino Zagari,la stessa sera della bomba di piazza Fontana va a perquisire la sede del circolo di via Scaldasole e porta in questura l’anarchico Sergio Ardau mentre Pinelli,ugualmente convocato,sul suo motorino segue l’850 blu della polizia. E’ Calabresi che in macchina parla della “sicura matrice anarchica degli attentati”e,a meno di tre ore dalla strage,fa già il nome di Valpreda come uno “di quei pazzi criminali infiltratisi nel movimento”,quindi all’Ardau dice:”Dovresti aiutarci anche tu a beccare queste belve che possono uccidere ancora!”.
Dietro ai titoli di giornale e alla brutalità della guerra civile siriana, esistono meravigliosi esempi di autogestione, la cui storia è ampiamente sconosciuta in gran parte dell’Occidente. Ed è questa autogestione, non gli aiuti sauditi o turchi, che ha permesso alla rivolta di auto-sostenersi in questi lunghi e brutali sei anni di repressione e guerra.
Posted: Ottobre 20th, 2016 | Author:Circolo Culturale Libertario Rimini | Filed under:General | Commenti disabilitati su NO TAV. Nicoletta Dosio, I MIEI PRIMI QUINDICI GIORNI DA EVASA
di *Nicoletta Dosio*
“Sono evasa, respiro aria di libertà, protetta dall’abbraccio del popolo
NO TAV che mi accompagna, notte e giorno, in questo avventuroso viaggio,
pieno di incontri, di calore umano, di gioiosa ironia”.
Nicoletta continua il suo straordinario tour in giro per l’Italia
intitolato “Io sto con chi resiste”…
Anarres del 14 ottobre. Migrazioni, lo sguardo della gente in viaggio. Anarchia e organizzazione. Le aporie della democrazia e lo stato di emergenza. Psichiatria assassina…
Ascolta il podcast
In questa puntata di Anarres, il pianeta delle utopie concrete. Ogni venerdì dalle 10,45 alle 12,45 sui 105,250 di radio Blackout:
Le migrazioni al di là degli stereotipi, in una narrazione che ci restituisce l’esperienza concreta, singolare di chi si mette in viaggio.
Ne parliamo con Andrea Staid, che mescola il suo approccio antropologico con quello della videomaker e disegnatrice Francesca Cogni, con cui sta terminando la scrittura di “Senza confini”, un libro illustrato, che racconta le migrazioni, partendo da due città, simili e insieme diversissime come Milano e Berlino.
“Abbiamo ascoltato, parlato, mangiato, bevuto, scritto e registrato; scambiato storie, lavorato, camminato insieme, disegnato e chiesto loro di disegnare ricordi, sogni e desideri. Oltre a raccontare i vissuti abbiamo immaginato una possibilità di avvenire migliore, un mondo nuovo dove l’unico straniero diventi la discriminazione e il razzismo.” Per saperne di più leggi la presentazione di Staid uscita su A rivista anarchica
Anarchia e organizzazione. Per molti, specie se non anarchici, una sorta di ossimoro, nella pratica dei movimenti una sfida lunga un secolo e mezzo.
Ne parliamo con Massimo Varengo della Federazione Anarchica Milanese
Il fantasma della democrazia. Riflessioni a margine di una storia di (stra)ordinaria repressione in una banlieu parigina.
L’Isis ha un solo merito, quello di aver messo allo scoperto, ancora una volta, le aporie democratiche, l’inconsistenza della narrazione sull’universalità dei diritti umani, la scatola vuota che regge l’immaginario che attraversa buona parte del pianeta.
In questi anni, di fronte alle manifestazioni più nette della criminalità del potere tanti hanno parlato di “democrazia tradita”. Un’illusione. Un’illusione pericolosa, perché sorregge la convinzione che questo sistema sia correggibile, che la violenza delle forze dell’ordine, la ferocia della macchina delle espulsioni, l’inumanità delle galere, la tortura nelle caserme, i pestaggi nei CIE e per le strade, le facce spaccate dai manganelli, le gole bruciate dai lacrimogeni, i lavoratori che muoiono di lavoro, i veleni che ammorbano la terra siano eccezioni, gravi, estese, durevoli ma eccezioni. La democrazia avrebbe in se gli anticorpi per eliminare i mali che la affliggono, per correggere la rotta, costruire partecipazione nella libertà.
Si è aperto al tribunale il processo ai tre vigili vigili urbani e allo psichiatra accusati della morte di Andrea Soldi, ucciso nell’estate del 2015 nei giardinetti di corso Umbria, perché si rifiutava di accettare un TSO (Trattamento sanitario obbligatorio). Udienza si è svolta a porte chiuse, i tre vigili non si sono presentati. Prossime udienze il 3 e il 14 novembre.
Era il 5 agosto dello scorso anno. Andrea era seduto su una panchina di piazzale Umbria, la “sua” panchina, quella dove era solito trascorrere il proprio tempo libero, quando sono arrivati ambulanza e vigili per imporgli un TSO. Andrea, che tutti ricordano come una persona tranquilla, non si era presentato alla visita psichiatrica mensile, perché non voleva sottoporsi all’abituale iniezione a lento rilascio di Haldol, un potente e dannoso neurolettico, che provoca dipendenza e gravi effetti collaterali, tra cui anche la psicosi per cui veniva “curato”, e che, a detta di familiari e conoscenti, era sopravvenuta anni prima, nella caserma dove aveva svolto il servizio militare. Sebbene l’uomo fosse calmo e, nonostante il provvedimento fosse stato disposto dal Sindaco, sul posto accorsero medici, ambulanza e vigili. Parecchi testimoni hanno visto i vigili prendere e stringere per il collo Andrea fino a farlo diventare cianotico. Ormai privo di sensi, l’hanno ammanettato, gettato prono su una barella. Quando è arrivato al pronto soccorso dell’Ospedale Maria Vittoria era già morto, senza che nessuno si fosse preoccupato di soccorrerlo e rianimarlo. Per saperne di più leggi l’approfondimento pubblicato su Anarres
Commenti recenti