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Gli Stati non cambiano

Posted: Maggio 27th, 2020 | Author: | Filed under: General | Commenti disabilitati su Gli Stati non cambiano

Gli Stati non cambiano

Leggiamo dichiarazioni di forte rabbia, scontento e sconcerto nei confronti dello Stato italiano, che com’è logico sottintendono alla frustrazione per decisioni prese e non prese in occasione di questa pandemia a supporto dei suoi cittadini: promesse non mantenute, aspettative tradite commisurate su parametri che fanno forse riferimento ad altri Stati occidentali maggiormente “evoluti” e benestanti.

Noi non sappiamo in quale Stato pensavate di vivere: sappiamo quello in cui pensavamo e pensiamo di vivere noi.

E vogliamo ricordare che per qualcuno le promesse saranno come sempre mantenute e mai tradite. Vale la pena ricordarlo, e vale la pena ricordare qual’è il volto di questo Stato.

Un po’ di storia.

Tralasciamo il ventennio fascista, di cui le edicole offrono sempre grande abbondanza di dispense con comodo raccoglitore in uscite settimanali, alternando la storia del duce, che tanto piace, a quella del fuhrer, che si contende il favore di tanti nostri connazionali.

Parlando del solo dopoguerra, questo è il posto dove nacque il Fronte dell’Uomo Qualunque: conoscete?…

In Italia, nel 1947, a Portella della Ginestra, vale la pena ricordare che ci furono 11 morti e 27 feriti, lavoratori e loro famiglie, sotto i colpi di mitraglia della banda Giuliano, con un gruppo di mafiosi e probabilmente di un gruppo di fascisti della Decima Mas.

In quella occasione iniziarono le ricostruzioni ufficiali precarie e pretestuose, che avranno crescente successo e faranno scuola.

Poi, una pagina che merita approfondimento per chi non la conoscesse, è la politica repressiva di Mario Scelba, presidente del Consiglio dei ministri italiano dal 10 febbraio 1954 al 6 luglio 1955 e presidente del Parlamento europeo dal 1969 al 1971, e della sua Celere.

Altre perle della recente storia repubblicana di questo Stato: nel luglio 1960, un manifestante ucciso e cinque feriti a Licata; due giorni dopo cinque lavoratori manifestanti ammazzati dalle forze dell’ordine e diciannove feriti a Reggio Emilia, poi ancora morti a Palermo e in Sicilia, sindacalisti ammazzati dalla mafia e dagli agrari.

Uscendo dalla sontuosa pagina della repressione dello Stato nei confronti dei lavoratori, mai terminata, ci possiamo imbattere nel Piano Solo, un tentativo di colpo di Stato ideato nel 1964 da Giovanni de Lorenzo, comandante generale dell’Arma dei Carabinieri dell’epoca.

Da non sottovalutare il golpe Borghese (citato anche come golpe dei forestali o golpe dell’Immacolata), un tentativo di colpo di Stato avvenuto in Italia durante la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 e organizzato da Junio Valerio Borghese, fondatore del Fronte Nazionale e in stretto rapporto con Avanguardia Nazionale. Dopo il fallimento del tentativo, vennero arrestate 48 persone accusate di cospirazione politica ma alla fine vennero tutte assolte con sentenza definitiva del 1984. Borghese, noto anche con il soprannome di principe nero, era in precedenza conosciuto per essere stato il comandante della X Flottiglia MAS fin dal 1º maggio 1943 e dopo l’8 settembre 1943 con il proprio reparto aveva aderito alla Repubblica Sociale Italiana. Il golpe fu annullato dallo stesso Borghese mentre era in corso di esecuzione, per motivi mai chiariti. Per evitare l’arresto si rifugiò nella Spagna del dittatore Francisco Franco, dove morì nel 1974. E state pur certi che non andò a lavare i piatti in un bar di Madrid per sopravvivere.

Come non citare un’altra pagina dove trovarono spazio tanti protagonisti della politica e dell’economia, la loggia P2 di Licio Gelli, sciolta dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2 sotto la presidenza del ministro Tina Anselmi  nell’82 come una vera e propria «organizzazione criminale» ed «eversiva»?

Tralasciando bazzecole come le stragi che videro impegnati a vario titolo professionisti, dilettanti, volontari e stipendiati dello Stato e dei suoi apparati della “sicurezza” definiti poi deviati, potremmo parlare di economia.

Citando Toni Iero, “il debito pubblico italiano è aumentato per un motivo molto semplice. Perché sono aumentati in maniera spropositata i rendimenti sui titoli pubblici. e non è successo a caso, è la conseguenza di una scelta ben precisa fatta nel 1981 da due allegri personaggi, Beniamino Andreatta, allora ministro del tesoro, democristiano di sinistra, e Carlo Azeglio Ciampi, allora direttore della Banca d’Italia, adesso padre della patria perchè è una delle figure più emblematiche della repubblica italiana, che decisero di effettuare quello che in gergo viene chiamato il divorzio fra Tesoro e banca d’Italia. Fino a quel momento il rendimento reale dei titoli pubblici, cioè il tasso di interesse che viene pagato meno l’inflazione, era sostanzialmente zero. Un po’ sopra, un po’ sotto a seconda degli anni, ma sostanzialmente era fermo.

Perché i titoli pubblici servivano a proteggere chi li sottoscriveva dall’inflazione. quello era lo scopo del titolo pubblico.

Dopo, ma non dopo un po’, immediatamente il giorno dopo del matrimonio, i rendimenti di tre anni di Btp sono schizzati verso l’alto, raggiungendo anche l’8 per cento, una cosa totalmente fuori di testa; sarebbe come se adesso avessimo un Bot che ci rende il 9 per cento. Voi capite bene che era una cosa fuori dal mondo. perché è successo questo? Perché grazie a questo matrimonio l’approvvigionamento finanziario dello Stato italiano è stato messo nelle mani dei mercati finanziari internazionali. E quelli hanno detto “cappero quanto li pagate, li compero”.

Venendo alla sanità, il finanziamento pubblico è stato decurtato di oltre 37 miliardi in dieci anni, di cui circa 25 miliardi nel 2010-2015 per tagli conseguenti a varie manovre finanziarie ed oltre 12 miliardi nel 2015-2019, quando alla sanità sono state destinate meno risorse di quelle programmate per esigenze di finanza pubblica.
Un taglio che si traduce inevitabilmente in un calo nel livello di assistenza: viene stimata una perdita di oltre 70.000 posti letto negli ultimi 10 anni, con 359 reparti chiusi, oltre ai numerosi piccoli ospedali riconvertiti o abbandonati. La metà dei 37 miliardi in meno alla sanità nel decennio riguarda peraltro il personale sanitario.

Per contro, come noto, non sono mancati e non mancano finanziamenti per le spese militari. Il costo di ogni caccia F35 supera abbondantemente i 100 milioni di €. In Italia c’è una sola ditta che produce respiratori polmonari, mentre sono ben 231 le fabbriche d’armi!

L’Italia spende per la Difesa circa 68-70 milioni al giorno ma stando alle richieste degli Usa e della Nato noi dovremmo spendere ancora di più, per arrivare forse a 100 milioni al giorno.

E mentre si continua a chiedere ” lacrime e sangue” continuando a ribadire che non ci sono soldi, tutti dichiarano che occorre rimettere mano al concordato Stato – Chiesa. Nel precedente governo i due vice ministri del consiglio non nascondevano certo le loro simpatie: Di Maio solerte a baciare il sangue di S Gennaro e Salvini a mostrare il suo crocifisso (verde) in tutti gli innumerevoli comizi.

Anche la storia dei rapporti con la Chiesa è nota. Il 14 febbraio 1929 Mussolini e Papa Pio XI, quello che dichiarò Mussolini ” uomo della provvidenza”, firmano il Patto Lateranense che consente di fare arrivare direttamente nelle casse vaticane 3 miliardi di lire (10 miliardi di lire attuali, fate voi i calcoli in €).

Successivamente, al momento di votare il concordato Chiesa – Repubblica si schierarono a favore: DC, PCI ( facendo sbalordire perfino i democristiani che non se lo aspettavano), Partito Qualunquista di Giannini e parte del PLI che in questo caso si spacco’ votando un po’a favore e un po’ contro. Contrari socialisti, repubblicani Partito d’Azione e, appunto parte dei liberali.

E con la revisione del concordato, con Craxi nel 1984, con l’8 per mille arrivano nelle casse vaticane un miliardo di lire ogni anno: secondo una stima di pochi anni fa, su una finanziaria di 20 miliardi all’anno il Vaticano ci è costato 9 miliardi, conteggiando anche tutte le condizioni di favore e agevolazioni di cui gode in barba all’articolo 9 della Costituzione (“tutte le religioni sono uguali di fronte allo Stato”).

Queste sono solo alcune delle piccole perle che per noi significano “Stato italiano”.

Tutti questi personaggi che hanno alimentato queste vicende, e molte altre, non stanno certo in carcere, né fanno la fame. Continuano a far variamente parte dello Stato italiano, ben lungi dal pensare di andare a farsi scegliere da voi con una scheda di carta da barrare alla scuola elementare dietro casa ogni cinque anni. Loro restano lì a prescindere, da sempre.

Queste sono solo alcune della pagine di storia di questo Stato dal dopoguerra.

Questo è lo Stato italiano.

Se qualcosa di buono è avvenuto, durante questa pandemia, è avvenuto grazie allo sforzo immane di moltissime e moltissimi lavoratrici e lavoratori del servizio sanitario, pagati per un mese quanto un paio di fine settimana di cene e cocaina di molti che oggi strillano alla rovina; infermieri e operatori che, quando finiranno gli applausi, torneranno a sopportare ogni giorno infamie e botte da gente inferocita per il malfunzionamento della sanità, grazie a 30anni di tagli di tutti i governi. Di tagli dello Stato.

Lavoratori, solidarietà; non Stato.

E se per caso vi doveste innamorare del meraviglioso stile di vita nord europeo, vi consigliamo di informarvi per bene sulla origine del loro benessere, fatto di sfruttamento delle risorse naturali e molto spesso di spregiudicate politiche di esportazione di armamenti. Una occhiata alle operazioni delle loro forze speciali nel mondo potrebbe risultare molto interessante, e farvi andare di traverso l’aperitivo a Berlino, a Parigi o a Londra. Se poi, per voi, il denaro non ha odore… buon per voi.

Non esiste uno Stato buono, per quel che ci riguarda.

Possiamo migliorare solo praticando solidarietà, mutuo appoggio e autogestione, comunque e ovunque possibile. Se l’obiettivo è un posto migliore dove vivere domani.

Se invece l’obiettivo è partecipare alla festa arraffando una fetta della torta, lasciate perdere idee come la giustizia sociale.

Non è per voi, non è di certo per lo Stato: le fette sono già tutte prenotate.

Gruppo Anarchico Libertad, FAI, Rimini


Complottismo e coronavirus

Posted: Marzo 26th, 2020 | Author: | Filed under: General | Commenti disabilitati su Complottismo e coronavirus

Una premessa: le guerre le fanno gli stati. Non le fa la natura, non le fanno le popolazioni.

Personalmente eviterei di dichiarare di “essere in guerra” con il coronavirus: noi non siamo in guerra, tutt’al più, per usare un linguaggio militaresco, siamo sotto attacco da parte dello stato.

Inviterei a riflettere sul fatto che, a fine gennaio, quando l’epidemia non era ancora iniziata in Italia, sia stato fatto un Decreto Legge di proclamazione dello stato d’emergenza e di delega al Capo del Dipartimento della Protezione Civile (che dipende dalla Presidenza del Consiglio) per emanare le ordinanze necessarie per fronteggiare l’emergenza sanitaria. Questa è la base giuridica dei vari DPCM che sono stati emanati dopo (e che con il prossimo decreto verrà rivista, proprio per la debolezza dei presupposti normativi).

Visto che a fine gennaio hanno legiferato per gestire l’eventualità di un’epidemia in Italia, si sarebbero potuti preoccupare di emanare le misure di prevenzione degli operatori sanitari (medici, infermieri e personale presente a vario titolo negli ospedali) che – proprio per la totale mancanza di protocolli di prevenzione – sono la categoria professionale con più infetti (a Roma su circa 1.200 contagiati, 100 sono medici e non si hanno notizie sul numero, probabilmente maggiore, degli infermieri e degli altri operatori sanitati colpiti) e sono diventati, a loro volta, un veicolo di contagio.

O, al limite, avrebbero potuto comprare le mascherine e l’amuchina che, a tre mesi dall’inizio dell’epidemia in Cina e dopo un mese dalla proclamazione delle “zone rosse” in Italia, sono ancora merce rara.

Non l’hanno fatto perchè fin dall’inizio hanno inteso questa emergenza come un’emergenza securitaria e non sanitaria: ci sono molti più denunciati (102.316 per il mancato rispetto dei divieti, 2.138 per false dichiarazioni e 2.380 esercizi commerciali) che contagiati (63.127) e ci sono decine di volte più controlli di polizia (2.244.868 persone e 1.061.357 esercizi commerciali) che tamponi (275.468).

La colpevolizzazione della popolazione serve a giustificare ulteriori controlli e ad eludere il problema della mancata prevenzione.

Mi pare che ce ne sia abbastanza per evitare di scomodare complotti, alieni, scie chimiche, cinesi, russi, statunitensi e guerre batterio illogiche (che non avrebbero senso, visto che un virus che elimina anziani e malati e risparmia i giovani e sani  favorisce una nazione in guerra, non la danneggia).

Poi ognuno fa la comunicazione che ritiene più efficace….

Fricche


Coronavirus ed emergenza: non ci dimentichiamo da quale parte della barricata siamo

Posted: Marzo 21st, 2020 | Author: | Filed under: General | Commenti disabilitati su Coronavirus ed emergenza: non ci dimentichiamo da quale parte della barricata siamo

Coronavirus ed emergenza: non ci dimentichiamo da quale parte della barricata siamo

Di fronte a questa crisi stato e capitale stanno mostrando, con un’evidenza mai raggiunta prima, tutti i propri enormi limiti e la loro strutturale incapacità di tenere conto delle necessità e della salute delle persone.
In Italia, le scelte politiche dei governi hanno costantemente tagliato la sanità pubblica (più che pubblica, statale). Parte delle poche risorse è stata dirottata verso la sanità privata, anche durante l’emergenza attuale. La contemporanea “regionalizzazione”, secondo un modello aziendalista-capitalista, ha poi reso questo servizio, che in teoria dovrebbe essere di carattere universale, fortemente differenziato tra regione e regione, tra regioni ricche e regioni povere.
I pazienti sono diventati clienti e le cure prestazioni d’opera monetizzate in un quadro generale di competizione e profitto.

… continua

http://federazioneanarchica.org/archivio/archivio_2020/20200320cdc.html


A PIAZZA FONTANA ESPLOSE LO SCHEMA EMERGENZIALE

Posted: Dicembre 11th, 2019 | Author: | Filed under: comidad | Commenti disabilitati su A PIAZZA FONTANA ESPLOSE LO SCHEMA EMERGENZIALE

NEWSCOMIDAD

Ecco le news settimanali del Comidad: chi volesse consultare le news precedenti, può reperirle sul sito http://www.comidad.org/ sotto la voce “Commentario”.

A PIAZZA FONTANA ESPLOSE LO SCHEMA EMERGENZIALE

La ricorrenza dei cinquanta anni dalla strage di Piazza Fontana è stata l’occasione per la riproposizione dei temi ormai consueti, gli stessi temi a cui siamo stati abituati in mezzo secolo di confronto con quell’evento. La costante di quasi tutti i commenti è stata infatti la riduzione dell’analisi politica all’analisi giudiziaria. Il presidente della Camera, Roberto Fico, ha rilanciato il proposito di desegretare tutti gli atti relativi alla strage; lo stesso provvedimento già annunciato da Matteo Renzi nel 2014. Si è visto con quali risultati. (1)

Eppure dovrebbe risultare evidente che l’esser riusciti a modificare il quadro giudiziario rispetto alla strage, l’aver ammesso che i colpevoli non erano i “rossi”, bensì dei “neri” in complicità con settori dei servizi segreti, non ha sortito assolutamente l’effetto di cambiare lo schema politico imposto immediatamente dalla strage stessa. Si trattava di quello schema emergenziale tramite il quale si costringeva il movimento operaio, cioè la forza di opposizione per eccellenza, a farsi carico, in nome del ”senso di responsabilità”, della difesa delle “istituzioni democratiche”.

Nel 1969 non c‘era ancora stata la caduta del Muro di Berlino, non c’era ancora il Trattato di Maastricht, ciononostante la politica si rivelava già una categoria subalterna rispetto ad altre. Vi erano già tutte le condizioni per il predominio non solo istituzionale ma anche ideologico della magistratura. La stessa magistratura che ha largamente contribuito a depistare le indagini sulla strage (sia con incriminazioni assurde, sia col trasferimento dei processi in lidi lontani), non ha mai perduto il ruolo preminente e riconosciuto di depositaria della missione di stabilire la “verità”. La verità giudiziaria è diventata abusivamente la verità politica, facendo perdere di vista che lo schema emergenziale imposto dalla strage è sopravvissuto ad ogni nuova ricostruzione dei fatti e ha consentito dapprima l’istituzionalizzazione e poi la neutralizzazione del movimento operaio.

A cinquanta anni dalla strage non si può infatti aggirare l’evidenza di un movimento operaio sconfitto perché costretto a farsi carico prima della difesa delle istituzioni democratiche, poi della crisi finanziaria e della difesa della lira tra il ’76 e il ‘78, poi ancora della difesa della democrazia di fronte alla nuova minaccia rappresentata dal brigatismo rosso.

L’emergenzialismo fu sperimentato in grande stile su scala europea nel 1973, con l’imposizione della “austerity” in base alle fake news sul blocco delle forniture di petrolio da parte dei Paesi arabi. Anche la Germania aveva sperimentato lo schema emergenziale negli anni precedenti, enfatizzando le imprese della RAF; ed anche in quel caso si assistette all’allineamento della socialdemocrazia e dei sindacati alle esigenze della difesa della “democrazia”. Le analisi sul regime tedesco del leader della RAF, Andreas Baader, erano in effetti molto lucide e puntuali, individuando quel regime come una sintesi di nazismo ed imperialismo USA. Le conseguenze che Baader trasse da queste premesse, furono però più religiose che politiche: un sacrificio di esponenti della giovane generazione per riscattare la vergogna dei padri; come se i “padri” non fossero prontissimi ad approfittare vergognosamente di quella ansia di riscatto per trasformarla nel suo esatto contrario in base allo schema emergenziale.

L’emergenzialismo non richiede particolare visione strategica da parte di chi lo adotta, bensì rappresenta l’automatica reazione delle oligarchie quando sentono minacciati, anche solo in parte i propri privilegi; perciò si fa saltare il banco per costringere tutti gli oppositori a farsi carico del caos che ne consegue.

Per effetto dello schema emergenziale il ruolo storico di opposizione della classe operaia, cioè fare da sponda e da referente per la redistribuzione sociale del reddito, è stato non solo perduto ma persino vilipeso e oltraggiato per poter adottare in alternativa la “concertazione”, anch’essa poi mandata in soffitta quando la classe operaia era ormai talmente indebolita da non aver più bisogno dei sindacati per controllarla.

La rivendicazione salariale veniva così subordinata ad un presunto “interesse generale”, alla cui ombra si potevano innescare i processi di deindustrializzazione e finanziarizzazione. Il debito pubblico diventava un’arma in mano agli industriali, i quali potevano disinvestire dalla produzione per investire in titoli di Stato. È la dinamica in base alla quale si spiega la sconfitta operaia del 1980 alla FIAT. Con la famigerata “Marcia dei Quarantamila” si strappava alla classe operaia anche quella che era considerata una sua prerogativa ed una sua roccaforte: la piazza. Giorgio Gaber cantava “c’è solo la strada su cui puoi contare”. Oggi anche la strada può invece diventare un luogo di menzogna sociale.

La caduta del Muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica hanno impresso un’energica accelerazione ai processi di finanziarizzazione; ed anche la fine dei regimi del “socialismo reale” vide la piazza trasformarsi in un’arma della reazione, con i primi esperimenti di “rivoluzioni colorate”. C’era però un precedente ancora più antico di “rivoluzione colorata”: lo sciopero delle pentole in Cile di cinquantamila casalinghe contro il governo Allende nel 1971; un segnale che il colpo di Stato poi attuato del settembre del ’73 era già in preparazione da tempo. (2)

Oggi in America Latina tutti i tentativi politici di mediazione socialdemocratica vengono attaccati attraverso la messinscena della rivolta dal basso. C’è certamente in queste operazioni un ruolo preminente del Dipartimento di Stato USA e delle sue ONG, ma occorre considerare che il caos è la naturale arma di reazione delle oligarchie.

Le sinistre europee si sono così integrate nello schema emergenziale da non aver più bisogno nemmeno della minaccia del caos per allinearsi. Sono sufficienti infatti emergenze del tutto fittizie e fasulle, tanto che basta lanciare sulla scena qualche personaggio assolutamente improbabile per riuscire a far gridare immediatamente all’emergenza democratica ed alla minaccia del fascismo o della sua versione mediatica corrente, cioè il populismo.

12 dicembre 2019

1)  https://notizie.virgilio.it/roberto-fico-atti-secretati-ipotesi-elezioni-annuncio-1058645

2)  https://books.google.it/books?id=8hlFDwAAQBAJ&pg=PT392&lpg=PT392&dq=pentole+casalinghe+allende+1971&source=bl&ots=bKYWyQmmpD&sig=ACfU3U3CwFcJiflDx9ruVdHAW5epeQPCuQ&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwio-4fFyarmAhWCqaQKHRz7Bx0Q6AEwEXoECAoQAQ#v=onepage&q=pentole%20casalinghe%20allende%201971&f=false


DOPO CINQUANT’ANNI UNA FERITA ANCORA APERTA

Posted: Dicembre 11th, 2019 | Author: | Filed under: General | Commenti disabilitati su DOPO CINQUANT’ANNI UNA FERITA ANCORA APERTA

La quantità di libri editi e di iniziative collaterali, l’ammontare degli eventi pubblici, ci danno il segno di quanto questo cinquantenario dalla strage di Piazza Fontana, dalle bombe di Roma e dall’assassinio di Giuseppe Pinelli hanno ancora oggi qualcosa da dirci riguardo quei fatti e non solo.

Il motivo è evidente: la ferita è ancora aperta, soprattutto per chi si riconosce nel cosiddetto Stato di diritto. Infatti se i processi conclusi a suo tempo hanno evidenziato una chiara responsabilità del gruppo nazifascista di Ordine Nuovo in combutta con pezzi dello Stato, con i servizi segreti italiani e statunitensi nell’esecuzione degli attentati di Milano e Roma, non hanno però dato un nome ai burattinai, ai mandanti politici del massacro. Chi è stato più a lungo in galera, fino a tre anni, sono quelli che quegli attentati non hanno fatto: gli anarchici Pietro Valpreda, Roberto Gargamelli, Roberto Mander, Emilio Bagnoli, Emilio Borghese.

Parimenti l’inchiesta del giudice D’Ambrosio sulla morte di Pinelli, conclusa nel 1975, si è dovuta inventare una forma di ‘malore’ che avrebbe dovuto colpire improvvisamente il nostro compagno e spingerlo direttamente e autonomamente fuori dalla finestra di quel quarto piano della questura di Milano superando una ringhiera di 97 cm., lui che era alto 1 metro e 67 cm.; e tutto questo per evitare di accusare i poliziotti e i responsabili dei servizi presenti in quella stanza di omicidio e per escludere la volontà suicida di Pino. Insomma una conclusione degna di quel clima da compromesso storico tra democristiani e comunisti, tra Moro e Berlinguer, che incombeva sul paese e che una diversa conclusione dell’inchiesta avrebbe potuto ostacolare.

La ferita, quindi, è ancora aperta e lo sarà finché i nomi dei responsabili non salteranno fuori.

Nutriamo qualche dubbio che ciò possa mai avvenire, rimanendo in un quadro di giustizia di Stato; se per la morte di un ragazzo come tanti, Stefano Cucchi, ci sono voluti dieci anni per individuare i carabinieri responsabili del suo omicidio, quanti anni ancora si dovrebbero aspettare – se mai ce ne fosse la volontà – per avere, dalla magistratura, i nomi degli assassini di Pinelli, dei mandanti e degli esecutori materiali delle 17 vittime di Piazza Fontana, oggetto di una strage, condotta da uomini del Potere, per fini politici in un quadro di complicità internazionali?

Cinquant’anni dopo è facile raccontare di quelle bombe e di quei morti evidenziando gli abusi compiuti, le falsità raccontate, le montature e i depistaggi costruiti. Quello che però si evita di fare è di denunciare il clima imperante e la responsabilità politiche di chi allora ha avallato la provocazione in atto.

Perché di questo si è trattato: di un’infame provocazione che, sulla pelle degli anarchici, voleva instaurare un regime autoritario per bloccare la continua crescita in fase di radicalizzazione dei movimenti di lotta operaio e studentesco e continuare a garantire l’appartenenza dell’Italia alla NATO. Se di ‘anni di piombo’ si deve parlare il piombo è quello della repressione e delle stragi, quello che ha consolidato la ‘strategia della tensione’ e ha dato il via ad una guerra civile strisciante, sapendo di poterla vincere grazie alla propria potenza di fuoco.

Con ben poca lungimiranza, scaricare e isolare gli anarchici è stata la risposta immediata della sinistra parlamentare all’indomani della strage, consegnandoli alla canea reazionaria, agli insulti della stampa, alla repressione dando di fatto mano libera alle operazioni di polizia. Oggi si denuncia il fatto che Pinelli era sottoposto ad un fermo illegale, ma allora questa illegalità era prassi normale per gli anarchici, difesi solo da pochi avvocati coraggiosi e generosi.

Infatti era dal 25 aprile 1969 che la campagna antianarchica era in atto, con perquisizioni, veline di polizia contrabbandate per articoli di giornale, detenzione di compagne e compagni poi risultati estranei ai fatti, ma alla sinistra parlamentare premeva di più tenere sotto controllo i movimenti di lotta che la difesa del tanto celebrato Stato di diritto.

Dobbiamo riconoscere che solo le tante contraddizioni emerse con la morte violenta di Pinelli, colte fin dalla prima conferenza stampa tenuta in questura da autentici giornalisti come Camilla Cederna, Corrado Stajano, Marco Nozza, Marco Sassano, hanno aperto un primo squarcio sull’infame complotto di Stato nella cosiddetta opinione pubblica. Altrimenti – bloccato con la grande mobilitazione di piazza, organizzata dai sindacati in occasione dei funerali delle vittime di piazza Fontana il tentativo fascista di innescare, con scontri di piazza, una situazione di conflitto tale da spingere il governo Rumor a proclamare lo stato di emergenza e all’esercito di intervenire – il destino dei capri espiatori anarchici sarebbe stato molto probabilmente segnato.

Per tale motivo la morte di Pinelli assunse subito un grande significato e la campagna per la verità su quanto accadde in quella stanza divenne un compito prioritario del movimento, assieme a quello per la liberazione di Valpreda e compagni. La risposta fu immediata, al di là di alcune perplessità da parte di qualche vecchio compagno.

Già il 17 dicembre si tenne a Milano una conferenza stampa al Circolo Ponte della Ghisolfa degli anarchici che denunciarono, senza mezzi termini, ‘la strage è di Stato, Valpreda è innocente, Pinelli è stato assassinato’, una frase che caratterizzerà la forte campagna di controinformazione che ne seguì. Si rafforzò la Croce nera anarchica, costituita nel corso del 1969 stesso; si diede vita a uno specifico Comitato Valpreda; lo storico Comitato Nazionale pro Vittime Politiche divenne il punto d’incontro delle tre organizzazioni nazionali anarchiche allora esistenti, Federazione Anarchica Italiana, Gruppi d’Iniziativa Anarchica e Gruppi Anarchici Federati, per coordinare le iniziative; per iniziativa della FAI a Roma si costituì il Comitato Politico Giuridico di Difesa, in cui confluirono avvocati di diversa provenienza politica. Un piccolo movimento con poche migliaia di aderenti in tutta Italia dimostrò subito una vitalità sorprendente e sarà in grado, nel giro di poche settimane, di coinvolgere settori sempre più ampi della sinistra, a partire da quella extraparlamentare. Già alla fine del gennaio del 1970 in decine di migliaia si scenderà in piazza a Milano contro la repressione seguita alla strage, con un corteo convocato dal movimento studentesco. Da parte del Circolo ‘La Comune’, animato da Dario Fo e Franca Rame, venne un forte sostegno tramite il Soccorso Rosso. Dario Fo poi con ‘Morte accidentale di un anarchico’, messa in scena per la prima volta nel dicembre del 1970, contribuì a far conoscere il caso Pinelli, in Italia e nel mondo,

Convegni, manifestazioni, presidi, volantinaggi, affissione di manifesti, comizi, si succedettero ovunque in Italia; un processo popolare si tenne in piazza il 25 aprile 1970, a cura dell’Organizzazione Anarchica Milanese per denunciare lo Stato italiano per la strage nelle persone degli inquirenti; gli atti verranno pubblicati nell’agosto successivo a cura di Franco Leggio per la Biblioteca delle collane “Anteo” e “La Rivolta”. Poco prima, in giugno, era uscito per Samonà e Savelli “La strage di Stato: Contro-inchiesta”, un testo fondamentale per la controinformazione, e che, aldilà di alcuni errori ed imprecisioni, ha dato un contributo importantissimo alla campagna per la libertà dei compagni.

Sono stati anni quelli, almeno fino alla liberazione di Valpreda e Gargamelli, avvenuta nel dicembre del 1972 sulla spinta della mobilitazione popolare, di un’attività intensa e continuativa, che si intrecciò in quello stesso 1972 con la denuncia per la morte del compagno Franco Serantini a Pisa provocata da un brutale pestaggio della polizia e con la campagna in favore di Giovanni Marini che a Salerno, per difendersi da un’aggressione squadrista, aveva ferito a morte il fascista Falvella, diradando le nebbie seguite alla morte di Giangiacomo Feltrinelli sul traliccio di Segrate e a quella del commissario Calabresi, sparato sotto casa. Un’attività che non riguardò solo il movimento anarchico nel suo complesso, che si riconobbe in una sostanziale unità di fondo nello smascheramento del complotto di Stato, ma anche i gruppi che, a sinistra del PCI, avevano raccolto molte adesioni tra la gioventù contestataria del biennio ’68-’69, come Il Manifesto che arrivò a candidarlo nelle elezioni politiche del 1972 (suscitando molte critiche da parte anarchica) e soprattutto Lotta Continua, che con la campagna martellante contro il commissario Calabresi, individuato come principale responsabile della morte di Pinelli, lo costrinse ad una querela che darà vita al primo processo riguardante Pino. Un processo concluso con la ricusazione del giudice Biotti da parte della difesa di Calabresi, proprio quando appariva in modo evidente che la morte di Pino non era avvenuta né per suicidio, né per in modo accidentale, ma per una responsabilità diretta di chi un quella stanza c’era.

Un altro processo si aprirà su denuncia di Licia Pinelli contro i funzionari di polizia accusati di omicidio, ma proprio la morte di Calabresi interromperà i suoi lavori, per non riprendere mai più.

Dopo cinquant’anni, la vicenda di Pino è talmente chiara che un presidente della repubblica si è sentito in dovere di tacitare la propria coscienza rendendogli omaggio, dopo un atto analogo di un presidente della camera dei deputati, ed è prevedibile che in questo cinquantenario altri omaggi seguiranno. Ma tutto ciò non basta e non serve: se lo Stato, nelle persone dei rappresentanti delle articolazioni che lo sostanziano – la magistratura, la polizia, i servizi segreti – non riconoscono apertamente le proprie responsabilità la ferita rimane aperta e a nulla valgono gli appelli per una memoria condivisa. Noi continuiamo a ricordare e a non archiviare.

Massimo Varengo

articolo scritto per Sicilia Libertaria di Dicembre


CON LA POPOLAZIONE DEL ROJAVA CONTRO L’AUTORITARISMO DI OGNI STATO

Posted: Ottobre 14th, 2019 | Author: | Filed under: General | Commenti disabilitati su CON LA POPOLAZIONE DEL ROJAVA CONTRO L’AUTORITARISMO DI OGNI STATO

Dal 9 ottobre lo Stato turco ha dato inizio all’invasione del Rojava e intrapreso una nuova guerra contro la Federazione della Siria del Nord con bombardamenti indiscriminati e con l’attacco di forze di terra.
Per il governo turco è necessario annientare un pericoloso esempio di resistenza e di sperimentazione di libertà nella regione, basato su comunità che hanno deciso di abbracciare una rivoluzione confederale, femminista ed ecologista dirompente.
Questo è il vero motivo dell’attacco. Anche se, come inizialmente dichiarato dalle autorità turche, l’operazione “Sorgente di Pace” si limitasse a “mettere in sicurezza” un’area profonda 30 km lungo tutto il confine, la guerra sarà devastante. Proprio in questa fascia di territorio infatti sorgono numerose città e centri che hanno un ruolo importante nella sperimentazione sociale in atto nella regione. In questa zona sorge anche Kobanê, che fu liberata dall’assedio dello stato islamico e dell’esercito turco nel gennaio 2015 grazie alla resistenza della popolazione, delle milizie YPG e YPJ, e alla solidarietà internazionale.
Una nuova guerra di espansione serve a Erdoğan, il presidente turco, per mantenere un consenso che mostra le prime vistose crepe. Come due anni fa durante l’invasione di Afrin, anche oggi tutti i partiti parlamentari tranne l’HDP si schierano a sostegno dell’esercito turco e della nuova campagna militare. Questo permette a Erdoğan e al blocco di potere dell’AKP di ottenere anche il sostegno del principale partito di opposizione, il CHP. Arruolare nella guerra le opposizioni è molto utile dopo che il partito di governo continua a perdere consensi, in una fase in cui la grave crisi economica che attraversa il paese rischia di estendere il malcontento e trasformarlo in opposizione sociale.
Lo Stato turco scatena la guerra con ogni mezzo, dai bombardamenti sulla popolazione civile che già hanno provocato centinaia di morti e feriti, migliaia di profughi, distruzione e sofferenza, fino alla riattivazione militare dello Stato Islamico. Nei prossimi giorni cominceranno i massacri ad opera delle truppe di terra turche sostenute da 14.000 mercenari assoldati anche tra i miliziani dello Stato Islamico sconfitti.

Questo significa pulizia etnica e deportazioni nei territori che proprio le milizie del Rojava avevano liberato dal califfato.
La popolazione è in serio pericolo e le forme di autoorganizzazione sociale che sono state sperimentate in questi anni rischiano di essere cancellate.
I massacri, gli stupri, la pulizia etnica e la sostituzione della popolazione, l’esodo di massa, che hanno segnato tragicamente l’invasione turca di Afrin, potrebbero ripetersi nel resto del Rojava. Quando lo stato turco minacciò di invadere il Rojava al tempo dell’assedio di Kobane, 5 anni fa, era stato fermato dalla resistenza locale e dalla grande mobilitazione internazionale di solidarietà. Oggi, di fronte a questo più grave attacco, è necessario reagire nuovamente, per fermare la guerra.
Solo un forte movimento di solidarietà internazionale può sostenere la resistenza, può fermare ‘offensiva dello stato turco e fermare la guerra tramite mobilitazioni popolari dal basso che rilancino una critica antimilitarista e antiautoritaria delle gravi responsabilità delle potenze globali e regionali che hanno usato la Siria come un campo di battaglia per i loro interessi imperiali dagli Stati Uniti di Trump alla Russia di Putin, dal regime autoritario di Assad all’ipocrisia dell’Unione Europea. In particolare è da smascherare il ruolo dello stato italiano che nonostante le dichiarazioni del governo di questi giorni sostiene apertamente la politica militare di Ankara. L’Italia e la Turchia sono entrambe nella NATO, e solo nel 2018 l’Italia ha venduto armi alla Turchia per un valore complessivo di 362,3 milioni di euro. L’Italia mantiene inoltre una missione militare a supporto dell’esercito turco, proprio al confine tra Siria e Turchia con circa 130 soldati e una batteria antimissile.
Per questi motivi saremo in piazza in questi giorni e invitiamo tutti e tutte a mobilitarsi a fianco di chi lotta e resiste all’attacco dell’esercito turco e delle milizie dello Stato Islamico. ai bombardamenti, agli incendi, alle torture.
Solidarietà alla resistenza in Rojava, solidarietà a coloro che hanno combattuto e combattono il fanatismo religioso e tutte le forme di autoritarismo!

Sempre con chi lotta per la libertà e l’uguaglianza, contro tutti gli stati.

12/10/2019
Commissione Relazioni Internazionali FAI

Federazione Anarchica Italiana
federazioneanarchica.org // umanitanova.org


POLIZIA. «SCRIPTA MANENT» E «SCINTILLA»

Posted: Luglio 14th, 2019 | Author: | Filed under: General | Commenti disabilitati su POLIZIA. «SCRIPTA MANENT» E «SCINTILLA»

Due operazioni strettamente collegate: un dossier redatto da Sergio Falcone

http://www.labottegadelbarbieri.org/polizia-scripta-manent-e-scintilla/

da La Bottega del Barbieri

il Blog di Daniele Barbieri & altr*


Biblioteca Libertad, a Rimini

Posted: Luglio 5th, 2019 | Author: | Filed under: libri | Commenti disabilitati su Biblioteca Libertad, a Rimini
Ogni venerdì la Biblioteca Libertad è aperta al pubblico per consultazione e prestito, dalle 17 alle 19, in via Nigra 26 a Rimini.
Per informazioni e aggiornamenti:

https://www.facebook.com/bibliolibertad/

Pippo GURRIERI
L’ANARCHIA SPIEGATA A MIA FIGLIA
96 pp, 2018
http://www.bfs.it/edizioni/libro.php?id=230

Murray BOOKCHIN
LA PROSSIMA RIVOLUZIONE
Dalle assemblee popolari alla democrazia diretta
192 pp, 2018
http://www.bfs.it/edizioni/libro.php?id=226

Andrea STAID
GLI ARDITI DEL POPOLO
2015
http://www.milieuedizioni.it/prodotto/gli-arditi-del-popolo/

Horst FANTAZZINI
LO STATUTO DEI GABBIANI
2016
http://www.milieuedizioni.it/?s=lo+statuto+dei+gabbiani

Roberto FARINA
GIANDANTE X
2014
http://www.milieuedizioni.it/?s=giandante+x

Roberto FARINA
FLAVIO COSTANTINI. L’ANARCHIA MOLTO CORDIALMENTE
2016
http://www.milieuedizioni.it/…

Davide TURCATO (a cura di)
E. MALATESTA: OPERE COMPLETE
E’ POSSIBILE LA RIVOLUZIONE?
532 pp, 2019
https://www.zeroincondotta.org/libri/em_operecomplete6.html

 


Rimini, 18 maggio. Palestina Ribelle: Re-Esistenze

Posted: Maggio 15th, 2019 | Author: | Filed under: General | Commenti disabilitati su Rimini, 18 maggio. Palestina Ribelle: Re-Esistenze


Rimini, 26 aprile: Amilcare Cipriani il rivoluzionario

Posted: Aprile 15th, 2019 | Author: | Filed under: libri | Commenti disabilitati su Rimini, 26 aprile: Amilcare Cipriani il rivoluzionario